tag:blogger.com,1999:blog-21042195768107338182024-03-12T23:58:23.293-07:00I racconti di Nicola D'UgoNicola d'Ugohttp://www.blogger.com/profile/15504174801531073127noreply@blogger.comBlogger4125tag:blogger.com,1999:blog-2104219576810733818.post-83861475307673299462010-09-30T05:32:00.000-07:002012-04-13T22:56:40.320-07:00Lolalalila<div style="text-align: justify;">
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<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjsPwn2EtMDQR-X3uhR0w4NuYeTxNujALeKSLiXAypb-8UeMKOy5hPfVVgLY0HxYEExTg0G2lVXsYsh8bdQ6ch2irPmkDvF1eaKHW0mCIY1KcV1U6RgmpFZ9IYqnYhjFkaV_wiBTH0ogezq/s200/lolalalila.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="147" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjsPwn2EtMDQR-X3uhR0w4NuYeTxNujALeKSLiXAypb-8UeMKOy5hPfVVgLY0HxYEExTg0G2lVXsYsh8bdQ6ch2irPmkDvF1eaKHW0mCIY1KcV1U6RgmpFZ9IYqnYhjFkaV_wiBTH0ogezq/s200/lolalalila.jpg" width="200" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">"Lolalalila"di Roberto Proietti.<br />
Roma 2000.</td></tr>
</tbody></table>
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Troppi anni fa c'era una ricciolina dagli occhi azzurri come l'estate che abitava dove abitavano i nostri avi. Passava le giornate fra la casa e la spiaggia, dove raccoglieva conchiglie. Non a tutti piacevano le conchiglie, perché a molti facevano venire in mente il loro contenuto. Lolalalila lo sapeva, così faceva vedere solo quelle tanto vecchie e ammaccate da apparire irriconoscibili.</div>
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A Lolalalila avevano detto:</div>
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– Vedi, le conchiglie sono come noi, non come gli alberi e l'erba. Come tu hai i riccioli, così i molluschi avevano i loro gusci.</div>
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– E dove sono i molluschi che avevano i gusci? – chiese la bimba.</div>
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– I molluschi non ci sono più, gli è capitata una cosa molto brutta. Quello che è capitato ai molluschi è tanto brutto da rendere orrendo ai nostri occhi anche i loro involucri. Non avertene a male, Lolalalila, ma per molti di noi le cose stanno così!<br />
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Lolalalila trovava che le conchiglie erano una diversa dall'altra. E siccome una volta la mamma l'aveva messa in castigo per le lamentele dei vicini che proprio non sopportavano la vista di quelle forme orrende che gli ricordavano la propria vulnerabilità, Lolalalila teneva le conchiglie da parte in un posto che conosceva solo lei.</div>
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Un giorno andando nel bosco trovò ben tre conchiglie che non aveva mai visto: una dai colori cangianti dell'azzurro, una a forma di occhio e una terza tanto liscia da sembrare fatta dall'uomo. Le portò in un posto particolare, dove molti aghi di ginepro formavano un tappeto compatto. Lolalalila rimosse le foglie dal suolo e vi scavò una piccola fossa. Poi prese le tre conchiglie, le avvolse in un involucro, le sotterrò e le ricoprì del terriccio e delle foglie rimosse. Aveva delle mani talmente sensibili alla materia da far apparire intatto qualsiasi terreno pigiasse con le dita.</div>
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Sapendo di questo astio degli uomini per le conchiglie, cominciò a disegnarne le forme in segreto, diventando abile a rendere le profondità e i rilievi dei gusci, le spirali e le imboccature. E come ombre e rilievi di conchiglie erano i rilievi e le pieghe dei visi umani, in miniatura, lievi ombre colorate che recavano i segni delle movenze dei visi, i loro momenti di sconforto, le loro gioie e allegrezze ripetute con quotidiana fioritura. Chiunque la conosceva sapeva che Lolalalila era un'abile disegnatrice, e spesso le signore e i signori del vicinato andavano da lei, si toglievano i vestiti e si facevano ritrarre nella loro naturale nudità. Lei li raffigurava nei modi più vari, fedele a quel detto che vuole che ciò che vediamo con l'occhio nudo è raddrizzato miseramente dall'occhio della mente. Ma a coloro meno addentrati in se stessi, meno versati alla sensibilità di tinte ed evocazioni pittoriche, Lolalilala faceva dono della sua arte di ritrarre le ombre e le luci del momento, regalandogli un disegno che sembrava stampa fotografica in carboncino, di modo che se ne andassero via contenti coi loro ritratti da esporre negli ampi soggiorni delle loro case.</div>
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Segretamente disegnava conchiglie.</div>
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Erano passati tanti anni da quando era solo una bambina e tutti ora la conoscevano come una delle persone più squisite del bosco. Non mancavano mai di invitarla alle proprie riunioni e si mostravano l'un l'altro i disegni e i dipinti che Lolalalila aveva fatto loro. Nessun artista di tutto il pianeta sapeva disegnare così meravigliosamente come Lolalalila.</div>
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Durante le sue passeggiate Lolalalila guardava la spiaggia e il mare. Conosceva tanto bene le conchiglie da accorgersi delle diverse forme nello stesso genere. Raccogliendole e studiandole negli anni, si accorse che erano mutati il mare e la terra che le riceveva.</div>
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A un amico che conosceva questa sua segreta passione per la natura confidò un sospetto: – L'uomo sta distruggendo il mare!</div>
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Il suo viso era tirato e gli occhi lucidi come la pietra bagnata dai marosi. Sotto i suoi occhi l'amico vide trasparire alcune rughe fitte e sottili che non aveva mai notato.</div>
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– Che dici, Lolalalila? – cercò di dissuaderla l'amico. – L'uomo ama la vita! Non farebbe mai una cosa simile!</div>
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Lolalalila lo guardò perplessa.</div>
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– Vieni, ti faccio vedere, – disse all'amico appoggiando la tavolozza su un sasso, e lo condusse con sé dove conservava le conchiglie. L'amico raccolse i vestiti e la seguì preoccupato. Giunti in un breve spiazzo del bosco, occultato da bassi arbusti, Lolalalila prese a scavare nel terreno e ne trasse alcuni involucri di panno ripiegato. Li svolse. Il giovane si trovò davanti una miriade di gusci di tutti i tipi, divisi in settori. Li guardò inorridito.</div>
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– Vedi queste conchiglie, Marmì? – chiese Lolalalila. – Sono dello stesso tipo e hanno la stessa età. Sono giovanissime!</div>
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– Come fai a dirlo? – chiese Marmì.</div>
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Lolalalila gli spiegò come si contano gli anni nella conchiglie, gli fece vedere le spirali e le increspature, i riflessi dei colori alla luce del sole. Marmì era perplesso, non ci capiva niente. Ma una cosa la capiva, che Lolalalila si stava mettendo in un grosso guaio.</div>
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– Butta via quella roba, Lolalalila…! – implorò Marmì guardandosi alle spalle per paura che qualcuno, passando, potesse vedere quei macabri resti.</div>
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– Perché, Marmì? Lo capisci? Uccidono le creature nel mare! – disse Lolalalila caparbia e indispettita. E le tornò negli occhi lo sguardo fiero e combattivo che Marmì, come chiunque altro nel bosco, conosceva bene, e di cui, come chiunque altro, era fiero. Ma in quel momento la fierezza cedeva alla paura e Marmì avrebbe desiderato che quello sguardo di ghiaccio infiammato non le palpitasse sul viso. Avrebbe dato qualunque cosa per vederla calma e serena, con i capelli ondeggianti nel vento e gli occhi celesti come il sereno sul mare.</div>
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– Butta via quei gusci, Lolalalila! – ripeté Marmì più deciso, ma senza alcuna speranza. Rimase a guardarla dispiaciuto. Gli occhi di Lolalalila, come d'incanto, si rasserenarono. Gli si strinse al braccio e lo baciò con calore sulle labbra, lungamente, decisamente, come se in quell'asterisco il tempo fosse fuori del tempo, e il rumore del mare una musica dimenticata, assente. Marmì conosceva quei baci. Quando l'uomo non è più mortale, né immortale, quando la morale del mondo è l'incubo ossessivo dei muscolosi infelici, quando lo spirito pulsa nella carne, e carne e spirito sono tutt'uno con l'anima. Quando la madre porge il seno al figlio che non sa che un giorno diventerà uomo fra gli uomini, o salirà, terrorizzato dall'abisso della propria missione, Calvario e croce. Ma la madre sa, fin dal primo momento, Calvario e croce, e silenziosa porge il caldo grasso morbido umido seno alla propria creatura. Così Lolalalila baciava il suo giovane amico, finché, d'improvviso, staccandosi dalle sue labbra, gli scompigliò affettuosamente i capelli. Marmì rimase spaesato a guardare il mare alle sue spalle, con le labbra ancora intenerite dal bacio di Lolalalila. Fece pochi passi in disparte, sull'alto promontorio a strapiombo sul mare, poi tornò da Lolalalila e la prese sotto il braccio.</div>
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– Ricopri tutto, Lolalalila! Si fa tardi, – le disse. – Dimentica quello che hai scoperto! Tienilo per te! Ti prenderebbero per pazza altrimenti, – aggiunse, proseguendo il cammino verso casa.</div>
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– Sono convinta che c'è di peggio, che noi non viviamo per sempre… o almeno, non ciascuno di noi. E che, con l'illusione di vivere per sempre, non si viva affatto, – disse Lolalalila desolata, con un filo di voce che pareva un mormorio.</div>
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Marmì la guardò triste e imbarazzato. L'accompagnò fino a casa, poi, preso da lugubri pensieri, si diresse a casa propria.</div>
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La sera c'era una festa nel bosco, piena di luminarie, ridanciana e chiassosa. Dall'ampia radura le luci trapelavano nel fitto bosco attraverso lo sparso fogliame. Più oltre, nel buio, il mite rumore di foglie tremolanti si distendeva incantevole, attratto da un punto in cui ardeva gioioso il cuore umano. Nella grande casa sulla radura, Marmì guardava Lolalalila ridere e scherzare, passare dalle braccia di un uomo al viso di un altro, ballare e amoreggiare forsennata come non l'aveva vista da molto tempo. Ma, dopo il colloquio di quella mattina, conoscendola, trovava affettata l'esibita allegrezza dell'amica, come fosse accesa di una luce tetra, che non preannunciava nulla di buono. Lolalalila era troppo disponibile al riso e allo scherzo per essere veramente in sé, benché, in genere, ridesse e scherzasse volentieri in compagnia, e non fosse in alcun modo timida. Ma quel suo fare sembrava dettato dal desiderio di liberarsi di un peso che aveva tenuto troppo a lungo per sé sola, come una sorta di liberazione. E Marmì sapeva di che peso si trattasse.</div>
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Il giorno dopo, nel pomeriggio, gli abitanti del bosco erano in tumulto. Setacciavano fra i castagni e molti si dirigevano alla dimora di Lolalalila per vedere cosa facesse. Lolalalila non era in casa, passeggiava solitaria fra gli alberi pensando a quello che gli uomini andavano facendo a se stessi.</div>
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Quando trovarono le conchiglie il tumulto fu irrefrenabile. Entrarono nella casa di Lolalalila e, non trovandola, la cercarono dovunque nel bosco e sulle rocce a strapiombo sul mare.</div>
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Lolalalila aveva tenuto viva l'idea della morte attraverso i gusci, un ricordo degli avi che per gli uomini immortali era diventato una insopportabile offesa alla loro più recente e grande conquista. Era una pazza o era malvagia?, si chiesero in molti: tutti la conoscevano per una persona tutt'altro che squilibrata, dotata anzi di virtù che molti di loro avevano sempre ammirato.</div>
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Marmì la vide entrare in uno spiazzo del bosco scortata da uomini e donne. Più si avvicinava e più le persone intorno a lei si facevano rade e mature, finché soltanto i più anziani le erano intorno.</div>
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Prima di entrare nella grotta, Marmì vide il suo volto distrutto dalla stanchezza e dal dolore. Ma in quel volto segnato dalla sofferenza riconobbe i tratti del viso che aveva sempre conosciuto, gli zigomi ampi e la delicata fattezza del mento, le labbra volitive e carnose che ora apparivano come illividite e sottili. E per un attimo credette di indovinare nei suoi occhi lo sguardo fiero e combattivo di sempre. Poi la grotta si chiuse silenziosamente, e di Lolalalila non si seppe più niente.</div>
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<i>Roma, 2000</i><br />
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[ <i>puoi scaricare e leggere il racconto nel formato editoriale originale cliccando</i> -> <a href="http://nicoladugo.tripod.com/pdf/racconti/lolalalila.pdf">QUI</a> ] </div>
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<span style="font-size: small;">[riferimento editoriale</span>:</div>
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D'Ugo, Nicola, "Lolalalila", <i>Notizie in... Controluce</i>, n. IX/9, settembre 2000, p. 19-20.]</div>Nicola d'Ugohttp://www.blogger.com/profile/15504174801531073127noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-2104219576810733818.post-40319900599622308532010-09-06T14:22:00.000-07:002012-04-13T23:55:06.575-07:00Memorie sfaldate annue<div style="text-align: justify;">
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<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgFWucHNRnUwsshJC73_HIMNFu8GJgi4vFGmuVKvbXCZJgmNsZy2BjpT6AJd-7KYr6mATJiquzK4e4emWQdbq4HET82PUKgO_MAIWXBxKoOB_zFrZ5GYg5fkApnYNJGENPmU-XCn4UFank9/s1600/woodman2_.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgFWucHNRnUwsshJC73_HIMNFu8GJgi4vFGmuVKvbXCZJgmNsZy2BjpT6AJd-7KYr6mATJiquzK4e4emWQdbq4HET82PUKgO_MAIWXBxKoOB_zFrZ5GYg5fkApnYNJGENPmU-XCn4UFank9/s200/woodman2_.jpg" width="198" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Francesca Woodman - Senza titolo. Roma,<br />
Settembre 1977. Dalla serie "Angels".</td></tr>
</tbody></table>
Muoversi da una stanza all’altra, incessantemente. E poi fermarsi per ancora riprendere. Dentro casa, sempre dentro casa. Con la temperatura che cambia come le stagioni. I rumori sono incessanti. Il ventilatore non vale niente, muove aria su aria, sempre la stessa. Spifferi fastidiosi, meglio tenerlo spento. E poi i film. Passo tutto il giorno a guardare film e a leggere libri.<br />
<br />
Oggi, per esempio, vedrò <i>La mia droga si chiama Julie </i>di François Truffaut, con Jean-Paul Belmondo e Catherine Deneuve. Coppia di sfigati. Lei fine, carina, traditrice. Mi farà venire in mente Carla, anche se Carla ha delle tette più modellate, scultoree nella sua struttura delicata.<br />
<br />
Gliel’avevo detto a Vincenzo, in modo vago, senza far nomi, ma oggi mi andrà di far nomi e romperò quella regola strettamente osservata nei confronti delle mie ex quando vado sui particolari. Mi verrà voglia di telefonare a Carla, ma bisognerà finire di vedere il film, perché non mi andrà di chiamarla in presenza di Vincenzo. Vorrò dirle parole gentili, del tipo "sento molto la tua mancanza", "sei così bella", "spero che tu stia bene", "che fai in questi giorni?", "ti voglio bene!".<br />
<br />
È da ieri che le volevo telefonare. M’è venuta in mente di notte, con una gran voglia di toccarla, ma non mi andava di chiamarla così tardi. Volevo chiamarla oggi, nel pomeriggio, ma poi verrà Vincenzo e faremo lezione di inglese, ossia conversazione, parlando dei mondiali e dello stupido articolo di Fumaroli su democrazia e retorica pubblicato ieri sul <i>Corriere delle Sera</i>. Con Vincenzo mi metterò d’accordo per un pagamento mensile delle lezioni, così se non verrà per qualche motivo ci rimetterà lui. Una soluzione adeguata che accetterà: magari si impegnerà un po’ di più e l’inglese lo imparerà davvero.<br />
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Chiamerò Carla a Parma in serata, ma sarò meno giulivo, sarò anzi nervoso, molto nervoso. Mi accenderò una sigaretta e mi schiarirò la voce. Non mi andrà di farmi sentire triste, vorrò farle sapere che sto bene e che tengo molto a lei. Ma purtroppo la voce mi si irrigidirà e dovrò schiarirla e deglutire un paio di volte. Dentro casa c’è sempre il fumo, specialmente quando vengono degli ospiti, e quando non c’è il fumo c’è lo smog e il caldo che vengono da fuori.<br />
<br />
Al telefono mi risponderà Mariella, la zia acquisita di Carla, ossia l’ex moglie del fratello di suo padre. È sempre molto simpatica, una persona tranquilla, che cerca di prendere la vita con filosofia, occidentale o orientale poco importa, tanto gli uomini veri non furono mai fatti per tali schieramenti. Mi dirà al telefono: "Ti libereranno presto? Devi venire a trovarci. Quasi un anno fa eri qui, ricordi? Il 2 agosto!"</div>
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Infatti lei è nata il 2 agosto, e lo scorso anno abbiamo festeggiato il suo compleanno con Carla e un amico di Mariella venuto in Italia per pochi giorni da el-Faiyûm, per salutare da una città all’altra alcuni cestisti italiani. Tanto che è passato per Monteverde, dove doveva incontrare un altro allenatore. Il mondo è piccolo, ho pensato apprendendo dell’arrivo del nuovo ospite, ecco qui un egiziano che viene a casa di Mariella dal quartiere in cui abito!<br />
<br />
Quella sera di quasi un anno fa abbiamo cenato con la mentuccia raccolta nei campi, un po’ di insalata e qualche leccornia (fragole, macedonia, chi lo ricorda più?). Poi ci siamo messi intorno al fuoco all’aperto, a chiacchierare. Il fuoco lo abbiamo acceso io e il ragazzo egiziano (dico ragazzo, benché abbia dieci anni più di me). Sono bravissimo a fare la legna e accendere il fuoco. L’ho sempre fatto, fin da bambino, in Emilia, e poi al lago del Turano, quando campeggiavamo con un paio di tende e attraversavamo il lago in canoa. Ogni sera, verso le sei, mentre Alice preparava la cena presso le tende, salivo per le agili mulattiere intorno al lago e cercavo la legna meno fresca, solitamente di cerro, e tornavo alle tende ad accendere il fuoco che ci teneva compagnia fino a notte tarda.<br />
<br />
Lì a Parma un anno fa, intorno al fuoco per quasi tutta la notte, era stato piacevole. Mariella aveva ricevuto in regalo delle carte indiane, credo dei Dakota, e ce le aveva lette. Bisognava chiudere gli occhi e immaginare davanti a sé un percorso che conduceva a una tenda, descrivere il percorso e quello che si vedeva dentro la tenda. A me uscì la carta della Grande Madre, la più importante del mazzo. Mariella mi disse di cercare la femminilità che era in me e che attraverso la femminilità che era in me avrei raggiunto il mio obiettivo. "Devi fidarti della tua femminilità" mi disse. La cosa mi fece piacere, tanto che ci pensai anche in giorni molto distanti da quella notte.</div>
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È importante riconoscere la propria femminilità. È una ricchezza ulteriore. Scardina le figurazioni della mascolinità indotta. E poi a me piace sempre stare con le donne. Non ricordo che feci con Carla quella notte, ma credo che facemmo l’amore. Forse immaginai di fare l’amore con un’altra donna, non perché non mi piacesse Carla, ma perché Carla diventa spesso dura e spinosa con chi la circonda, e anche con me. Sì, immaginai di fare l’amore con un’amica di Mariella che avevamo incontrato al mattino. Carla non si accorse di niente, e in seguito ricordò quel giorno e quella notte come un momento particolarmente felice, in cui ero "rilassato e tranquillo", così disse, e mi sentì molto vicino. Non le balenò nella mente che mentre ero fra le sue braccia avrei desiderato essere in quelle dell’amica della zia.</div>
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Stasera, prima di telefonare a Carla, la penserò indifferente. Lei mi ha detto tante volte di amarmi, ma non credo sia vero, perché credo che non possa esserci amore in una persona che non si fida ciecamente di chi dice di amare. Un bambino si fida ciecamente dei genitori e li ama. Se manca la fiducia vien meno anche l’amore. Non è una questione di passione, ma d’un sentimento ideale, in cui non esiste la diffidenza. Carla non si fida di me, sospetta sempre ch’io stia tramando qualcosa nei suoi confronti, come se volessi rubarle un pezzo d’anima o tradirla, e diventa avara. Allora usa il proprio corpo con strategia, non con amore. Ne fa dono senza anima e se lo riprende, a seconda del mutevole giudizio che ha di sé, dissimulando anche la passione e l’affetto e reprimendo i suoi desideri più pregevoli. Il suo decidere come fare l’amore si fa tattico in quei momenti, non passionale, addirittura non intimo. Mi piace molto quando ride, scherza, mette in gioco se stessa. Mi dispiacciono le sue ubbie, le sue ansie, la sua rigidezza, la sua diffidenza. Come può pretendere di essere amata e di amare se non si fida, se mi teme, o anche se solo teme di perdermi? Passa dall’estrema generosità all’avarizia, dalla grazia all’ineleganza più sciatta. Splende come il sole e la luna e si fa di fango, improvvisamente. In questo non è diversa a tante coetanee che hanno letto qualche libro e rimuginato qualche ora di troppo sul senso della vita.</div>
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Una volta vedendola particolarmente tesa le ho chiesto che problemi avesse.</div>
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"Non ho nessun problema" mi ha risposto.</div>
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"Nessuno non ha nessun problema!" ho replicato.</div>
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"Beh, io non ne ho" ha ribattuto.</div>
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"Non è possibile che tu non abbia alcun problema. I problemi, piccoli o grandi, ce li abbiamo tutti!" le ho detto.</div>
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"Ti ho detto che non ho nessun problema, e non ho nessun problema!"</div>
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"Ma è normale avere problemi!"</div>
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"Io non ne ho!"</div>
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"Senti, due sono i casi: o tu hai dei problemi che non mi vuoi dire oppure sei una persona anormale e quindi piena di problemi."</div>
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"Ma perché vuoi farmi essere anormale: io sono normalissima!"</div>
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"Secondo <i>te</i> sei normalissima. Infatti non ti accorgi neppure che non avendo alcun problema sei anormale. Solo le persone piatte, scialbe, non hanno problemi! E se credi davvero di non aver problemi dimostri proprio di aver più problemi di chi riconosce di averne pochi e di poco conto! Se non hai problemi non hai neppure aspirazioni, il che in un’artista è un controsenso."</div>
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Mi aveva indispettito, e ancor più per il fatto che si fosse chiusa come un riccio. Vedendola sulla difensiva provavo pietà per lei. Non intendevo offenderla, ma farle del bene. Volevo che capisse che non ci si deve nascondere dietro un dito, negando le proprie debolezze come se un lupo cattivo fosse pronto a sbranarle il ventre scoperto. Vedendola così offesa, cambiai subito atteggiamento, sapendo che era inutile proseguire quell’arida discussione. Le dissi "vieni qui" con dolcezza, e lei mi si accostò sul letto e l’abbracciai, baciandole la fronte e le guance.</div>
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"Ti voglio bene" le dissi "non intendevo ferirti, volevo solo aiutarti. Ma se mi dici che non hai problemi è meglio così." Era cambiata in un attimo. Le spine le erano cadute di dosso ed era tornata morbida e calda e amorevole.</div>
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Carla è una ragazza selvatica. Una volta pensavo che fosse una selvaggia. Invece no: è proprio selvatica, senza l’articolo indeterminativo di chi appartenga ad un gruppo. Una selvaggia ha costumi da selvaggia, una sua socievolezza boschiva che alla lunga uno impara a comprendere. Basta capirne le regole essenziali. Lei no. È come un animale a cui stai bene se le dai latte, amore e fantasia, se presti ascolto alle sue storie che non sa raccontare, se ti rendi in qualche modo partecipe di quello che fa. Ma appena l’abbandoni diventa nuovamente randagia, oltre a mostrare il proprio randagismo anche quando non la abbandoni. Tratta male i tuoi conoscenti se non le sono simpatici, mostrando aperta indifferenza nei loro confronti. In parte, a ben vedere, con alcuni di loro fa bene. O, per essere più precisi, con alcune.</div>
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Una volta siamo andati a una festa a Parioli. Lei veniva direttamente dal Centro, mentre io ero arrivato alla festa da Monteverde. Stavo con alcune amiche (alcune ragazze che allora credevo fossero delle amiche) e ci scherzavo fra un bicchiere di vino e una fetta di frittata. A un certo punto, mentre stavo seduto per terra a chiacchierare con tre di queste ragazze, è arrivata Carla. Eravamo in una camera da letto affollata in una casa dal corridoio affollato che dava su altre camere da letto e cucina parimenti affollate. Credo che solo il bagno non fosse affollato. Quando ho visto Carla mi sono alzato per darle un bacio e le ho presentato le mie amiche, parte delle quali già conosceva. Le ha guardate con indifferenza e gli ha detto con altrettanto trasporto un "ciao" distaccato. Qualcuna ha provato a dirle qualcosa, ma lei l’ha subito congedata con uno "Scusa, sono occupata!" e si è voltata verso un ragazzo con cui si è messa a conversare. Le ragazze sono impallidite.</div>
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"È la tua ragazza?" mi ha chiesto una.</div>
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"Diciamo di sì" ho risposto.</div>
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"Ce l’ha con noi! Che le abbiamo fatto?" ha chiesto un’altra.</div>
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"È gelosa! Forse noi siamo di troppo! Magari voleva stare con te!"</div>
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"È fatta così, lasciatela stare!" ho risposto.</div>
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"Però così non si fa!" ha detto una più deficiente di lei.</div>
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"Non sapevo che avevi una ragazza!" ha detto una di loro, dal viso piatto e dai capelli rossi che dimostrava cinque anni buoni meno della sua età. Ma nessuno ha aggiunto nient’altro e abbiamo ripreso a parlare.</div>
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Del resto queste ragazze sono delle vere e proprie deficienti. Rappresentano la borghesia più becera romana, una borghesia vacua di figlie di civilisti e giornalisti da strapazzo che fanno comparsate televisive con sigaro in bocca e pose da commedia dell’arte. Studiano letteratura e arte. Hanno viaggiato, eccome! Parlano tre o quattro lingue, ma se ne parlassero una sola per dire qualcosa di sensato non farebbero un soldo di danno. Invece posso immaginare i danni che fanno non solo in Italia, ma anche nei paesi di cui cicaleggiano le lingue. Da questo punto di vista, Carla alla fine non è che abbia fatto così male a trattarle da deficienti. Se fosse un’altoborghese, cosa che non escludo, dato che non so di che estrazione sia, Carla potrebbe dirsi una snob. Quando l’ho conosciuta parlava con il mento sollevato a mio cugino che l’aveva conosciuta all’Accademia di Belle Arti, avvolta in un cappotto che non era in grado di dissimulare pienamente le sue grazie. Era appena tornata da un viaggio in Portogallo, come se un viaggio in Portogallo fosse la vincita alla lotteria di Capodanno o rendesse geniale e spiritualmente ricca una persona. Capirei se fosse stata in Paradiso o fosse scampata a un naufragio, ma un viaggio in Portogallo davvero non lo capisco! C’è gente che crede che viaggiare arricchisca a tal punto da nobilitare. Quando nel 1988 sono tornato dal mio primo viaggio negli Stati Uniti, Maurizio mi ha guardato e ha esclamato giulivo ai miei genitori:</div>
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"È uguale a prima! L’America non l’ha cambiato!"</div>
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"Che credevi, di vedermi con cappellone in testa e pantaloni da cowboy?" gli ho risposto, e ci siamo abbracciati con l’affetto consueto.</div>
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Questa dei viaggi è una sciocchezza. Se se ne fa tesoro non è che lo si debba mettere al collo come se si fosse svaligiata un’oreficeria al Centro. È solo una crescita personale, che conosce il viaggiatore e nessun altro. Men che mai se all’estero uno va a farci il turista.</div>
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Dopo due o tre frasette di mio cugino Carla capì che il mento poteva anche abbassarlo. Prima pareva che dovesse andare chissà dove di fretta, poi eccola lì ad ascoltare quello che diceva Gioacchino, il quale all’inizio era stato quasi in silenzio, limitandosi affabilmente a congratularsi del lavoro artistico che Carla andava facendo. Io in disparte, come faccio spontaneamente con chi non mi si fila. Ogni tanto davo un’occhiata ai due, come se non c’entrassi niente nella loro conversazione. Quando se ne andò la congedai con leggero distacco, un semplice ciao e il sorrisino garbato di uno che ha altri pensieri per la testa.</div>
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"Chi era?" chiesi subito a Gioacchino.</div>
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"Una ragazza dell’Accademia" mi rispose. "Ci avevo buttato gli occhi sopra quando stavo con Monica, ma allora era fidanzata con un altro ragazzo dell’Accademia. Da quello che ho capito, si sono lasciati. Le ho lasciato il mio numero per vedere i miei lavori, se le interessa si farà viva. Secondo me le interessa!"</div>
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"E bravo, cuginetto! È davvero carina. In bocca al lupo." E proseguimmo per piazza Farnese.</div>
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Non mi sarei mai immaginato che un giorno quella ragazza, piacente e snobbante, me la sarei trovata fra le braccia. Avrei tanto desiderato che fosse un po’ più giuliva e meno scontrosa, ma questo non credo che possa deciderlo io per lei. Del resto, non è che mi sia sempre comportato bene nei suoi confronti. È che speravo che fosse diversa, ecco tutto. Che fosse una gran giocherellona, come sa esserlo a oltranza. Ma a oltranza non va bene, se non nei rapporti occasionali, di tanto in tanto. In un rapporto di coppia è insopportabile.</div>
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Stasera, quando proverò a telefonarle, non sarà in casa. Dormirà a casa dei signori dove, come molte artiste squattrinate, fa la baby-sitter. Mariella mi dirà che lo fa di tanto in tanto, come se dovesse spiegarmi perché non torna a casa a dormire. L’ultima volta che l’ho vista, nelle mura della mia segregazione, mi ha detto che c’era un altro ragazzo nella sua vita. E ha aggiunto che era convinta che ne fossi contento.</div>
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"Se sei contenta tu…" le ho risposto.</div>
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Per la prima volta le ho detto che non sono affatto contento, seppure la cosa possa andare bene a lei. Anzi, da parte mia, sono dispiaciuto. Non tanto che vada con un altro ragazzo (gliel’ho sempre auspicato), ma che non mi ami più. Non mi piacerà perderla, ma al tempo stesso sono cosciente che la mia situazione di segregazione non potrà che alterare ulteriormente il nostro rapporto. Qualunque cose le dirò parrà motivato dalla mia condizione. Lei potrà, per esempio, pensare, e sicuramente sospetterà, che le parli di amore perché sono rimasto solo, abbandonato, senza una donna e senza la possibilità di trovarne un’altra al momento. Non solo avrà tutto il diritto di pensarlo, ma sarà una sciocca se non lo capirà.</div>
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Quando verrà qui mi proporrà di curare una mostra collettiva d’arte. Ne parleremo e le dirò che va bene. Stenderemo una prima bozza del programma e ci daremo appuntamento per la volta successiva. Poi finirà questa segregazione, qualche giorno dopo, e lei mi inviterà a Parma dove conviverà con il suo nuovo ragazzo. Rifiuterò e lei si arrabbierà. Dopo qualche sua sfuriata al telefono ci accorderemo di vederci a Roma. Avrò bisogno di un po’ di vacanze al mare, ma saranno più brevi del previsto. Tornerò a Roma quando vorrà lei, finché ci incontreremo qua, in questa casa che non avrà più il sapore della nostra dimora né di nulla: sarà un luogo anonimo e freddo, come quando ci si incontra nella piazza di un quartiere anonimo o in un bar che non ha alcun carattere proprio. Vi sarà un’atmosfera tesa e lei si arrabbierà, mi dirà che ho avuto tutto nella vita e chi ha avuto tutto nella vita pretende sempre di più. La pregherò di abbassare la voce e di calmarsi. Mi dirà che non si può lavorare insieme come se fra noi non fosse successo niente. Le dirò che da parte mia non noto la differenza. Mi seguirà di stanza in stanza urlando la sua rabbia. Le dirò che per come stanno le cose è forse il caso che trovi qualcun altro con cui lavorare. Mi dirà che già lo sapevo, che non avevo nessuna intenzione di lavorare con lei. Traccerà sempre di più un solco profondo fra di noi. Continuerà a urlare e rifiuterà di comunicare. Pretenderà, come mai ha preteso fino ad ora. E siccome sarò stanco di non farmi capire e di dover sentire le sue lamentele inurbane, la inviterò a lasciare questa casa e mi metterò a lavare i bicchieri in cucina. Lei rimarrà per un istante di là, poi si affaccerà in cucina e mi chiederà con la sua consueta formalità di aprirle la porta.</div>
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"Sai come aprirla" le risponderò stanco "non mi interessano le formalità."</div>
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"Beh, allora ciao…" dirà fra l’esitante e il deciso.</div>
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"Addio" le risponderò guardandola dal lavabo.</div>
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"Ci vediamo…" farà lei.</div>
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"Non ci vediamo più" le dirò, con le braccia sotto l’acqua corrente del rubinetto.</div>
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"Ci vediamo invece" dirà lei contrariata "queste cose non si dicono".</div>
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"No, invece. Non desidero rivederti" le dirò.</div>
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"Invece ci vediamo…"</div>
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"Ti prego di non telefonarmi" le dirò amareggiato. "Mi farei altrimenti negare."</div>
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Se ne andrà in silenzio da questa casa inespressiva costruita per mero denaro. E non ci sentiremo più per tutto l’anno seguente. Saprò, la prossima primavera, che aspetta un bambino, e mi brilleranno gli occhi a pensarla con un bimbo fra le braccia, mentre sfreccerò con la macchina sotto gli archi latini. Avrò un grande desiderio di incontrarla, così per caso, un mattino o un pomeriggio in città. Ma fra un anno, di sera, verrò a sapere, nella stessa cucina in cui l’avrò vista per l’ultima volta, che avrà perduto il bambino. Un brivido grigio come la morte mi attraverserà la schiena e un’amarezza mi crescerà dentro. Tentennerò un paio di giorni. Poi mi ricorderò chi sono, e che non si risponde all’indifferenza con l’indifferenza se si hanno pensieri gentili. Cercherò di sapere come sta, ma senza chiamarla direttamente, per non aggiungere inquietudine ulteriore alla sua eventuale inquietudine. Mi diranno che sta meglio e che si è rimessa già all’opera, caparbia più di prima, con mostre in programma e altre iniziative, e che potrei chiamarla direttamente, con gentilezza. Sarò contento di saperla tranquilla e di non dovermi offrire per lenire le sue recenti ferite. Per un po’ preferirò sapere di lei senza contattarla, come gli angeli sanno essere silenziosi e invisibili e presenti. Vi sono modi e modi per costruire il futuro su un presente crollato. Alcuni sollevano le stesse pietre, altri ne traggono di nuove dall’umana risorsa che ha lavorato per millenni per noi. Io non solleverò le vecchie pietre, ma ricorderò il loro antico splendore: ogni tanto mi sorprenderò a immaginarla amabilmente incazzata con il mondo o ridente e giocosa come un clown, con un dente in meno nella bocca che non si sarà decisa a farsi rimettere, e quel corpo magro e scultoreo, fatto di nervi tesi sotto la pelle delicata, fatto di energia contenuta in posture e irruente ilarità, la bocca assetata di tenerezza e i seni artistici che la dichiarano madre. Mi riempiranno nella memoria le palme delle mani e mi ricorderanno, di tanto in tanto, quanto mi sarebbe piaciuto essere padre.</div>
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Lei non sarà una ragazza come un’altra, come se fra noi non fosse successo niente, anche se dovesse smettere di sbattersi a destra e a sinistra nelle scalinate pendule della vita, tentando di rimanere in piedi nelle folate di sbieco dei giorni e delle settimane, con indosso il cappottone lungo, largo e sbiadito che ha soccorso la sua povertà, il viso bello, altezzoso e duro di sempre, alla ricerca di qualcuno che capisca quanto è in gamba: come se essere in gamba basti a rimanere in piedi o a essere felici. A modo loro, nella memoria, i suoi occhi saranno sempre sereni e curiosi come quelli di una bambina e i lineamenti induriti dal giorno si rilasseranno fra le mie braccia, gonfiandole le guance e il mento. Per sempre si stringerà a me per sentire meno freddo e mi guarderà, mentre le sue dita si divertiranno a disegnare figure con i miei riccioli, non per i millenni artistici a venire, ma per quel solo istante che appare degno di attenzione, entro quattro mura scalcinate e intime che non conoscono segregazioni né i famelici volti digrignanti dei boia che, come tutti i violenti della storia, attesero, attendono e attenderanno dietro le porte delle dimore degli uomini. Per un po’, almeno, Carla e io ci ignoreremo.<br />
<br />
<i>Roma, 1999</i><br />
<br />
[ <i>puoi scaricare e leggere il racconto nel formato editoriale originale cliccando</i> -> <a href="http://nicoladugo.tripod.com/pdf/racconti/memorie-sfaldate-annue.pdf">scarica PDF</a> ] </div>
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<span style="font-size: small;">[riferimento editoriale</span>:</div>
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D'Ugo, Nicola, "Memorie sfaldate annue", in <i>Calendario </i><i>Lippiello </i><i> 2000</i>, Roma 1999.]</div>Nicola d'Ugohttp://www.blogger.com/profile/15504174801531073127noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-2104219576810733818.post-24596833651555903132010-09-06T11:47:00.000-07:002012-04-13T23:54:37.994-07:00Memories Flayed Up Yearly<div style="text-align: justify;">
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<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi2dhSPWFT0aDpkYNOmhFvewtcIIkupozyIZCBIdYJKYtvGrb-cTL5sZw6hOW-Oy2vEquNbshKiaRrRiDY-2U4XfovDtp9AgViKAnWVE4jYDUWozYIDRPtsVMYNZOvUSeso90DXSvroyZ6k/s1600/woodman2_.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi2dhSPWFT0aDpkYNOmhFvewtcIIkupozyIZCBIdYJKYtvGrb-cTL5sZw6hOW-Oy2vEquNbshKiaRrRiDY-2U4XfovDtp9AgViKAnWVE4jYDUWozYIDRPtsVMYNZOvUSeso90DXSvroyZ6k/s200/woodman2_.jpg" width="198" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Francesca Woodman - <i>Untitled</i>. Rome,<br />
September 1977. From "The Angel Series".</td></tr>
</tbody></table>
Moving from room to room, endlessly. And then quitting and doing it again. In the house, always inside it. The temperature changes with the seasons. The noises are endless. The electric fan is absolutely worthless, it moves air on air, always the same. Disturbing draughts, I'd better turn it off. And then the movies. I spend the whole day watching movies and reading books.<br />
<br />
Today, for instance, I'll watch <i>Mississippi Mermaid</i> by François Truffaut, with Jean-Paul Belmondo and Catherine Deneuve. Jinxed couple. She is stylish, pretty and treacherous. She will remind me of Carla, though Carla's tits are better modeled, sculptural in her delicate structure.<br />
<br />
I said that to Vincenzo, making no names, but today I'll choose to make names and break this rule which I strictly observe when I give a specific account of my ex. I'll feel like calling Carla, but it'll be necessary to watch the whole movie first, because I shan't like to phone her with Vincenzo around. I'll want to say gentle words, like 'I miss you', 'you're very beautiful', 'I hope you are well', 'what are you doing these days?', 'I love you!'.<br />
<br />
Yesterday I wanted to call her. She came into my mind last night, I was craving to touch her, but I didn't want to call her so late. I meant to call her this afternoon, but Vincenzo will be coming for his English lesson, that is conversation in English, on the World Cup and on Fumaroli's stupid article on democracy and rhetoric published on <i>Il Corriere della Sera</i> yesterday. Vincenzo and I will agree for a monthly payment of his lessons, so that if he doesn't come for some reason he'll have his loss. An adequate solution, maybe he'll strive a bit harder and learn English for real.<br />
<a name='more'></a></div>
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<br /></div>
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I'll call Carla in Parma tonight, but I shan't be so merry, I'll be nervous instead, very nervous. I'll light a cigarette and clear my throat. I won't show my sadness, I'll want to have her know that I'm fine and care very much for her. Unfortunately my voice will stiffen and I'll have to clear my throat and swallow a couple of times. There's always so much smoke in the house, especially when I have guests, and when it isn't the smoke it's the heat and the smog coming in from outside.<br />
<br />
Mariella, Carla's aunt-in-law, that is the ex wife of her father's brother, will answer my call. She's always very nice, a quiet person that takes life with philosophy, little matters whether western or eastern, since real men were not made to take such sides. She will say on the telephone: 'Are they going to release you soon? You must come and visit us. It's been almost a year since you were here last, hasn't it? August 2nd!'</div>
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<br /></div>
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As a matter of fact she was born on August 2nd, and last year we celebrated her birthday with Carla and a friend of Mariella's who had come to Italy from el-Faiyûm for a few days to meet some Italian basketball players in various towns. He also went to Monteverde, where he met another coach. It's a small world, thought I when I heard of this arrival, here is an Egyptian coming to Mariella's from the quarter I live in!<br />
<br />
That night of almost a year ago we dined with mint picked in the fields, vegetable salad and some dainty (strawberries, fruit salad, and I don't remember what). Then we sat around the fire outdoors, and chatted. The Egyptian boy and I prepared the fire (I say boy, though he is ten years older than I). I have always done that, since I was a child in Emilia, and then in Lake Turano, when we used to camp with a couple of tents and cross the lake in canoe. Each evening around six, while Alice was preparing our dinner, I climbed the easy trails along the lake and looked for dried twigs (Turkey oak, usually), and went back to our tents and made the fire that accompanied us till late at night.<br />
<br />
There in Parma a year ago, around the fire for almost the whole night long, it was pleasant. Mariella had been given a Dakota pack of cards as a present, and she read them for us. We had to close our eyes and imagine a path ahead leading to a tent, and describe the path and what was in the tent. I picked the Great Mother card, the most important card in the pack. Mariella said that I should seek the femininity within myself through which I might achieve my goal. 'You must trust your femininity,' she said. This made me glad, and I thought of this long after.</div>
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<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
It is important to recognize one's own femininity. It's a further richness. It undermines the figurations of induced masculinity. Moreover I always like to be with women. I don't remember what I did with Carla that night, I guess we made love. Maybe I imagined I was making love to another woman, not because I didn't like Carla, but because Carla often becomes rough and thorny to people around her, and to me, too. Yes, I imagined to make love to a girlfriend of Mariella's whom we had met in the morning. Carla didn't realize it, and later she recollected that day and night as particularly happy moments, wherein I was 'relaxed and calm', so she said, and she felt me very close to her. It didn't flash through her mind that when I was in her arms I wished to be in those of her aunt's friend.</div>
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<br /></div>
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Tonight, before calling Carla, I shall feel her as indifferent. She has told me so many times that she loves me, but I don't believe her, because I think that there can be no love in a person who doesn't blindly trust her beloved. A child blindly trusts his parents and loves them. Where trusting is missing love is missing. It's not a matter of passion, but of an ideal sentiment, in which there exists no diffidence. Carla doesn't trust me, she is always suspecting that I'm plotting against her, as if I wanted to steal a part of her soul or betray her, and she becomes mean. Then she uses her body strategically, not lovingly. She mindlessly gives it as a present and takes it back, according to her changing judgment on herself, dissimulating even her passion and affection and repressing her most valuable desires. Her decision on how to make love becomes tactic in those moments, not passionate, even not intimate. I like to see her laughing, joking, making fun of herself. I dislike her fearing, her anxiety, her stiffness, her diffidence. How can she claim to love and be loved if she has no trust, if she fears me, or fears to lose me. She goes from extreme generosity to avarice, from grace to the most slovenly inelegance. She can shine like the sun and the moon and abruptly change into mud. In this she doesn't differ from most girls of her age who have read a few books and have ruminated too many hours on the meaning of life.</div>
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<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Once, on seeing her particularly stressed, I asked her what her problem was:</div>
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<div style="text-align: justify;">
'I have no problems,' she answered.</div>
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<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
'Nobody has no problems,' I replied.</div>
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<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
'Well, I don't have any,' she said.</div>
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<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
'It's impossible that you haven't any problems. Everybody has small ones or big ones,' I told her.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
'I told you I have no problems, and that's it!'</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
'But it's <i>normal</i> to have problems!'</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
'I don't have any!'</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
'Listen, there are two cases—either you have problems that you don't wish to tell me or you are an abnormal person, and so you've got a lot of problems.'</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
'What do you want me to be abnormal for—I'm absolutely normal!'</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
'<i>You</i> think you are normal. In fact you don't even realize that having no problems makes you abnormal. Only dull, wishy-washy people have no problems! And if you really think you've got no problems you actually show that you've got more problems than the people who admit they have a few minor ones! If you've got no problems you don't even have any ambition, which in an artist is nonsense.'</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
I was vexed, especially because she'd shut up like a clam. On seeing her defending herself at a corner of the bed, I took pity of her. I wanted her to understand that one shouldn't hide behind a finger, denying one's own weakness as if a bad wolf were ready to tear her bare belly to pieces. I noticed that she was offended, and I immediately changed my behavior, as I knew it was useless to go on with that dry conversation. I sweetly said 'come here' to her, she approached me on the bed and I embraced her and kissed her forehead and cheeks.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
'I love you,' I said. 'I didn't mean to hurt you, I just wished to help you. But if you say you have no problem that's better.' She had changed in one moment. Her thorns shed from her and now she was soft and warm and lovely as ever.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Carla is a wild girl. Once I thought she was a savage. She isn't—she's actually wild, unlike someone belonging to a group. A savage girl has savage customs, a forest sociability that in the long run can be understood. You just need to know the essential rules. Not her. She's like an animal for which you're Ok if you give her milk, love and fantasy, if you listen to her stories which she's unable to tell, if you participate somehow in what she does. But as soon as you leave her she becomes stray again, notwithstanding the fact that her straying also shows even if you don't leave her. If she doesn't like your acquaintances, she treats them badly, showing them her open indifference. Partly, to be honest, she is right with some of them. Or, to be precise, with some of the females.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
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Once we went to a party at Parioli. She came from the city, whereas I had arrived from Monteverde. I was with some friends (some girls that I regarded as friends at the time) and I was joking with them between a glass of wine and a slice of omelet. At a certain point, while I was sitting on the floor talking with three of these girls, Carla came in. We were in a crowded bedroom of a house whose crowded hall led to other crowded bedrooms; the kitchen was crowded too. I guess only the bathroom wasn't crowded. When I saw Carla I stood up, kissed her and introduced her to my friends, some of whom she already knew. She looked at them with indifference and uttered an equally indifferent 'hello'. One tried to tell her something, but she dismissed her with an 'Excuse me, I'm busy!', and she turned to a boy with whom she began talking. The girls whitened.</div>
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'Is she your girl?' asked one of them.</div>
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'In a way,' I replied.</div>
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'She doesn't like us! What have we done to her?' asked another girl.</div>
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'She's jealous! Maybe we are not in the right place! Perhaps she wants to be alone with you!'</div>
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'She's like that, leave her alone!' I answered.</div>
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'She ought to know better!' said a girl more idiot than her.</div>
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'I didn't know you were engaged!' said a girl with a flat face and red hair who looked at least five years younger than she actually was. But nobody said anything else, and we went on talking.</div>
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Indeed these girls are thoroughly dumb. They represent the most boorish Roman middle class, made up of the daughters of civil lawyers and rotten journalists who show up at talk-shows with a cigar in their mouths and commedia dell'arte postures. Their daughters have traveled, they really have! They speak three or four languages, but if they knew one alone to voice some sense it wouldn't harm anybody. I can imagine how many damages they make instead, not in Italy alone, but also in all those countries in whose language they stupidly chatter. From this point of view, Carla wasn't so wrong in treating them as half-wits after all. If Carla were upper-class (I wouldn't exclude this possibility anyhow, since I don't know her extraction), she would be a snob. The first time I saw her, she was bearing her chin high while talking to a cousin of mine whom she had met at the Academy of Fine Arts, wrapped up in a coat that didn't quite dissimulate her charms. She had just come back from Portugal, as if a journey to Portugal were like the winning at the New Year lottery or could render a person genial and spiritually rich. I could understand if she had been to Paradise or had survived a ship-wreck, but a journey to Portugal is something I cannot actually realize. There are people who think that traveling enriches to the point of ennoblement. When I came home from my first journey in the United States, Maurizio looked at me and happily exclaimed to my parents:</div>
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'He looks the same as he was! America didn't change him!'</div>
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'What did you expect,' I replied, 'to see me wearing cowboy trousers and a hat?' So we embraced affectionately as usual.</div>
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This story about traveling is nonsense. If one gets something out of it, he'd better avoid wearing it around his neck as if he had robbed a jewelry downtown. It's just personal growth; only the traveler knows that, and nobody else. And even more so if one has been abroad as a tourist.</div>
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After my cousin spoke two or three sentences, Carla understood she could lower her chin. Before she had looked like one hurrying somewhere else, but now there she was listening to Gioacchino's words, who had kept practically silent at first, and had just kindly congratulated her for her artistic work. I was standing aside, as I use to do when people don't pay attention to me. Now and then I took a glance at them, as if I wasn't partaking of their conversation. When she left, I dismissed her with light detachment, a plain good-bye and the polite smile of one who has other thoughts on his mind.</div>
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'Who's she?' I asked Gioacchino.</div>
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'A girl from the Academy,' he answered. 'I set my eyes on her when I was engaged to Monica, but at the time she was engaged to another guy from the Academy. I understand they have split up. I gave her my phone number to show her my works, if she's interested she'll let me know. I think she is!'</div>
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'Very smart of you, cousin! She's pretty. Good luck.' And we made for Piazza Farnese.</div>
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I couldn't imagine that one day or other I would be holding that attractive and snobbish girl in my arms. I should have liked her to be more cheerful and less unsociable, but that is something I cannot decide in her stead. After all, I haven't always behaved correctly towards her. I simply hoped she would be different, that's all. That she would be a playful person, as she can be from time to time. Unfortunately from time to time doesn't work except in occasional relationships. In a couple relationship it is unbearable.</div>
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Tonight, when I try to call Carla, she won't be at home. She will be sleeping where she baby-sits, like many penniless women artists do. Mariella will tell me that she does so from time to time, as if she had to explain why Carla is not sleeping at home. Last time I saw her, within the walls of my segregation, she told me there was another man in her life. And she added that she was sure I was glad of that.</div>
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'If you are so…' I replied.</div>
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For the first time I told her I wasn't glad at all, although it might have been good for her. In a certain sense, from my point of view, I <i>am</i> sorry. Not because she goes to bed with another man (I always wished her so), but because she doesn't love me anymore. I will be sorry that I am loosing her, but at the same time I am conscious that my situation of segregation will certainly affect our relationship. Whatever I tell her will seem prompted by my condition. For instance, she will think, and surely suspect, that I speak of love to her because I've been deserted in my solitude, abandoned, without either a woman or the possibility of finding another one right now. Not only will she have a right to think so, but she will be stupid if she doesn't realize it.</div>
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When she comes here, she will propose me the editing of a collective art exhibition. We will talk about it and I'll agree. We'll put down a first draft of the program and we'll set the date of the next meeting. A few days later my segregation will be over, and she will invite me to Parma where she will be staying with her new boyfriend. I will decline, and she will get angry. After some wrangling from her on the phone, we will agree to meet in Rome. I shall need some vacation at the seaside, but it will be shorter than I shall expect. I'll be back in Rome when she wishes, till we will meet here, in this house which will not taste like our house or anything—it will be a cold anonymous place, like when one meets somebody in a square of an anonymous suburb or in a bar that has no specific feature. The atmosphere will be tense and she will get angry, she will say I've got everything in my life and those who have achieved everything in their lives demand to have more and more. I'll beg her to lower her voice and take it easy. She will tell me that we cannot work together as if nothing had happened between us. I shall say that I don't see the difference. She will follow me from room to room shouting her anger. I'll tell her that since things are as they are maybe we had better not work together. She will say that I already knew, and didn't have any intention of working with her. She will cut a deeper and deeper furrow between us. She will go on shouting and she will refuse to communicate. She will demand, as she's never demanded up to now. And because I shall be tired of misunderstandings and of having to listen her inurbane complaints, I'll invite her to leave this house and I'll start washing up cups in the kitchen. She will remain in some other room for a moment, then she will pop her head into the kitchen and will ask me with her usual formality to open the door for her.</div>
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'You know how to open it,' I'll reply wearily, 'I'm not interested in formalities.'</div>
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'Well, then see you…' she will say wavering but pretending decision.</div>
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'Good-bye,' I'll reply looking at her from the sink.</div>
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'See you…' she will say.</div>
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'We will not meet anymore,' I'll say, with my arms under the water running from the tap.</div>
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'Yes, we will,' she'll say disappointedly, 'these things shouldn't be said.'</div>
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'They should. I don't want to meet you,' I'll say.</div>
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'We will meet, I say.'</div>
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'Please, don't telephone,' I'll say embittered. 'I will not be available.'</div>
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She will go away silently from this inexpressive house built for mere money. And we won't hear from each another for the whole following year. I shall know, in the next spring, that she is in child, and my eyes will sparkle with joy at the thought of her with a child in her arms, and I shall desire to meet her downtown, by chance, one morning or one afternoon.But in a year from now, in the evening, I'll be told, in the same kitchen where I saw her last, that she lost her child. A shudder, as gray as death, will crawl all over my back, and bitterness will grow inside me. I'll hesitate for a couple of days. Then I will remember who I am, and that one doesn't respond to indifference with indifference if one has more gentle thoughts. I'll try to find out how she is, without calling her in person, for I will take care not to add one more worry to her possible worries. They will tell me she is better now, and is already back to work, as stubborn as ever, scheduling exhibitions and other initiatives, and would I kindly call her directly. I shall be glad to hear she is serene and will not offer to soften her recent wounds. For a time I'll prefer to hear about her without contacting her, the way angels can be silent and invisible and present. There are different ways to build a future on a collapsed present. Some lift the same old stones, others get new ones from the human resource that has been working for us for millenniums. I won't lift the old stones, but I'll remember their ancient splendor—sometimes I shall find myself imagining her lovely pissed off with the world or laughing and cheerful like a clown, with that same tooth gap that she will not have brought herself to have fixed, and her slender and sculptural body, made of tense nerves below her delicate skin, made of energy restrained in postures and her vehement hilarity, her mouth thirsty for tenderness and her artistic breasts declaring her a mother. In my memory, they will fill the palms of my hands, and will remind me, from time to time, how I longed to become a father.</div>
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She won't be a girl like any other, as if nothing had happened between us, even if she will stop bustling about in the pendulous stairways of her life, trying to stand in the sideways gusts of days and weeks, with her wide and long faded coat that helps her poverty, her beautiful face, as haughty and as hard as ever, looking for someone that might understand how clever she is—as if being clever would suffice to stand for oneself or to be happy. Somehow, in my inward eye, her eyes will be serene and curious like a child's, and her features hardened by the day will relax in my arms, and her cheeks and chin will swell. She will hold me forever to be less cold, looking at me, as her fingers will be having fun drawing pictures with my curls, not for the artistic millenniums to come, but for that one moment appearing worthy of attention, within four shabby intimate walls that know no segregation, not even the ravenous grinning faces of executioners, who, like all violent people in history, have been, are and will be waiting behind the doors of people's homes. At least for a while, Carla and I will ignore each other.</div>
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<i>Rome, 1999</i><br />
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(transl. Emilia Drigo Noble)</div>
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<span style="font-size: small;">[source</span>:</div>
<div style="text-align: justify;">
D'Ugo, Nicola. "Memories Flayed Up Yearly", in <i>Lippiello Calendar 2000</i>. Rome, 1999.]</div>Nicola d'Ugohttp://www.blogger.com/profile/15504174801531073127noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2104219576810733818.post-34553257193960267022010-05-15T07:04:00.000-07:002012-04-13T22:56:09.907-07:00Goodbye Little World<div style="text-align: justify;">
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<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhbG4xBSlJheRsxitXAH6D0f8-2ARlMCm9R4VuDvMJd5FyTxq20NVT6cD6VGH9BtGaCz9zMsg6EpuGNvX3CyJkpo462o7Jq3SjZM2AGF2XoCUeIpW-C4dnPjlx7zU6xkKyzLF0x-MX25cjH/s1600/fioravanti06.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="103" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhbG4xBSlJheRsxitXAH6D0f8-2ARlMCm9R4VuDvMJd5FyTxq20NVT6cD6VGH9BtGaCz9zMsg6EpuGNvX3CyJkpo462o7Jq3SjZM2AGF2XoCUeIpW-C4dnPjlx7zU6xkKyzLF0x-MX25cjH/s200/fioravanti06.jpg" width="200" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Fabrizio Fioravanti - <i>Cittanova 1</i>.<br />
1997. Serie "Cittanova, Polistena".</td></tr>
</tbody></table>
Il serpente dorato spingava per la casa in mattoni. Silenzioso strusciava e frusciava nella polvere. La casa sola, chiusa tra due strade, attendeva che le porte si riaprissero e che una mano di vento rimettesse in ordine le cose. Silenziosa ogni crepa fremeva, desiderava, s'evidenziava appena, ma senza infastidire, senza disturbare un improbabile passante.</div>
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L'uomo ombra si tolse il cappello e lo mise sul piolo. Si tolse la giubba e la mise accanto al cappello. Poi si voltò e allargò il giornale davanti alla faccia e vi si immerse. Faceva freddo fuori, pensò, non sarebbe uscito un'altra volta quel giorno.<br />
<a name='more'></a></div>
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Prati schiacciati, separati, sommersi e divisi dalla polvere e dai sassi dove gli uomini si erano sfoltiti negli anni di magra e di silenzio. Un urlo sarebbe stato un fiato sprecato da chissadove. L'erba, rabbrividendo, cigliò d'un raggio di sole, poi, in silenzio, rabbrividì come in una bolla di ghiaccio infranto e palpebrante, ma verde ancora, come gli occhi delle donne chiuse in un retropensiero profondo e connaturato. Ma una mano di bimbo apparve come un'ombra prima che il sangue verde della linfa fosse spremuto da un vecchio pallone, duro come un callo, insensibile ai chiodi e al fil di ferro.</div>
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Nella notte prima di questa tragedia, una ninfa aveva chiuso la sua tapparella sul mondo, aveva passato dura nella toppa la sola chiave e aveva ancheggiato mitemente e morbida come una guancia lungo la scala, prima di sparire in una vecchia Renault 5. Le avevano detto di terre altre, di luoghi in cui l'anima poteva affacciarsi, in cui lo spirito poteva rinascere, in cui la gioia della vita poteva felicemente incommensurarsi fra altre ninfe e parenti, dove la danza apriva le braccia e il vino fluiva sull'onda della conversazione benevola.</div>
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L'uomo ombra, da dietro il giornale, sapeva. Tacito come chi non ha nulla da aggiungere, spiava le firme note del quotidiano e i suoi ultimi conseguimenti. Il mondo filtrato, pensava, non da un linguaggio, in sé già poco affidabile, ma da linguaggi molteplici di idioletti da trivio abbelliti da facili furberie. Il mondo che passa, pensava, il mondo che si vede e pensa, pensava, e che la parola della cartastraccia fissa nell'usa e getta di un giorno di disparati accadimenti diceva sempre Occidente. E sapeva che oltre l'Occidente non v'era più che la stessa delusione, la stessa inutilità.</div>
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Con la sua mano succhiata dalla luce del giorno aprì meglio l'imposta per leggere a chiare lettere ciò che il quotidiano fissava saccentemente. Non rise neppure di disperazione, perché ormai non v'era più nessuna disperazione. Imbronciato in un nero broncio contro la bianca parete alle sue spalle, sfogliava pagina dopo pagina un flusso anche suo e di cui si sapeva un semplice prigioniero. La sua contingenza, come quella degli altri, neppure gli importava, né l'urlo che gli era rimasto in gola anni addietro più lo tormentava. Giocate, bambini, pensava, giocate.</div>
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Per strada alcune ombre passavano in fretta, ma la polvere dimentica, non conserva, le vestigia più grevi. E chi ha rapido il passo è il primo che si dimentica.</div>
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Non picconate questa dimora, sognava un uccello sul tetto, un balestruccio che non era uno fra i tanti, ma se stesso. Col suo frac era dignitoso e preoccupato, ma poi volteggiò un poco nell'aria, come una nuotata in piscina. E lasciò perdere i cattivi pensieri.</div>
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Quando aprì il tabaccaio, nel pomeriggio, vi fu una raccolta di uomini e chiacchiericcio. Vecchi amici, anziani e uomini validi del posto. Tutti dicevano della scomparsa di Carlo, ma nessuno aveva molto da aggiungere. Della ninfa nessuno aveva saputo, perché era una venuta dal Nord e si sapeva di lei che aveva avuto sfortuna. Era tornata per ricongiungersi con la madre, ma la madre si era risposata e il nuovo marito le aveva posto un aut aut. Così la ragazza si era dovuta accontentare di battere le vie fuori paese e abbordare per strada qualche sconosciuto.</div>
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<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
L'uomo ombra della vita intima della ragazza nulla sapeva, dei litigi con la madre e il patrigno, e del bisogno dei buchi. Dietro il giornale guardava un mondo che si accartocciava, inumidiva e sfarinava in disparte. Pensò solo, oggi fa troppo freddo per uscire, e domani farà lo stesso, gettando un occhio al cappello e alla giacca sui pioli. Allora aprì bene le finestre una ad una, finché ne ebbe la forza, finché le mani e le braccia e la faccia ancora lo sostenevano davanti al mondo. Poi rimasero le parole degli idioletti su una poltrona muffita.</div>
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<div style="text-align: justify;">
I bambini si azzuffavano nella polvere spingando calci al pallone di cuoio, ridendo e gioendo fumanti nel gelido sole.</div>
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Il serpente d'oro spingava fra i mattoni.</div>
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<i>Roma, 1997</i><br />
<br /></div>
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<span style="font-size: small;">[riferimento editoriale</span>:<br />
D'Ugo, Nicola, "Goodbye Little World", in Moschini, Francesco, Gianfranco Neri e Renato Partenope (a cura di), <i>Transizioni. Sei comuni di Calabria tra mito, quotidianità e progetto. Cittanova, Melicucco, Polistena, Rosarno, S. Ferdinando, S. Giorgio Morgeto</i>, Edizioni Kappa, Roma 1997.]</div>Nicola d'Ugohttp://www.blogger.com/profile/15504174801531073127noreply@blogger.com0