Goodbye Little World


Fabrizio Fioravanti - Cittanova 1.
1997. Serie "Cittanova, Polistena".
Il serpente dorato spingava per la casa in mattoni. Silenzioso strusciava e frusciava nella polvere. La casa sola, chiusa tra due strade, attendeva che le porte si riaprissero e che una mano di vento rimettesse in ordine le cose. Silenziosa ogni crepa fremeva, desiderava, s'evidenziava appena, ma senza infastidire, senza disturbare un improbabile passante.

L'uomo ombra si tolse il cappello e lo mise sul piolo. Si tolse la giubba e la mise accanto al cappello. Poi si voltò e allargò il giornale davanti alla faccia e vi si immerse. Faceva freddo fuori, pensò, non sarebbe uscito un'altra volta quel giorno.

Prati schiacciati, separati, sommersi e divisi dalla polvere e dai sassi dove gli uomini si erano sfoltiti negli anni di magra e di silenzio. Un urlo sarebbe stato un fiato sprecato da chissadove. L'erba, rabbrividendo, cigliò d'un raggio di sole, poi, in silenzio, rabbrividì come in una bolla di ghiaccio infranto e palpebrante, ma verde ancora, come gli occhi delle donne chiuse in un retropensiero profondo e connaturato. Ma una mano di bimbo apparve come un'ombra prima che il sangue verde della linfa fosse spremuto da un vecchio pallone, duro come un callo, insensibile ai chiodi e al fil di ferro.

Nella notte prima di questa tragedia, una ninfa aveva chiuso la sua tapparella sul mondo, aveva passato dura nella toppa la sola chiave e aveva ancheggiato mitemente e morbida come una guancia lungo la scala, prima di sparire in una vecchia Renault 5. Le avevano detto di terre altre, di luoghi in cui l'anima poteva affacciarsi, in cui lo spirito poteva rinascere, in cui la gioia della vita poteva felicemente incommensurarsi fra altre ninfe e parenti, dove la danza apriva le braccia e il vino fluiva sull'onda della conversazione benevola.

L'uomo ombra, da dietro il giornale, sapeva. Tacito come chi non ha nulla da aggiungere, spiava le firme note del quotidiano e i suoi ultimi conseguimenti. Il mondo filtrato, pensava, non da un linguaggio, in sé già poco affidabile, ma da linguaggi molteplici di idioletti da trivio abbelliti da facili furberie. Il mondo che passa, pensava, il mondo che si vede e pensa, pensava, e che la parola della cartastraccia fissa nell'usa e getta di un giorno di disparati accadimenti diceva sempre Occidente. E sapeva che oltre l'Occidente non v'era più che la stessa delusione, la stessa inutilità.

Con la sua mano succhiata dalla luce del giorno aprì meglio l'imposta per leggere a chiare lettere ciò che il quotidiano fissava saccentemente. Non rise neppure di disperazione, perché ormai non v'era più nessuna disperazione. Imbronciato in un nero broncio contro la bianca parete alle sue spalle, sfogliava pagina dopo pagina un flusso anche suo e di cui si sapeva un semplice prigioniero. La sua contingenza, come quella degli altri, neppure gli importava, né l'urlo che gli era rimasto in gola anni addietro più lo tormentava. Giocate, bambini, pensava, giocate.

Per strada alcune ombre passavano in fretta, ma la polvere dimentica, non conserva, le vestigia più grevi. E chi ha rapido il passo è il primo che si dimentica.

Non picconate questa dimora, sognava un uccello sul tetto, un balestruccio che non era uno fra i tanti, ma se stesso. Col suo frac era dignitoso e preoccupato, ma poi volteggiò un poco nell'aria, come una nuotata in piscina. E lasciò perdere i cattivi pensieri.

Quando aprì il tabaccaio, nel pomeriggio, vi fu una raccolta di uomini e chiacchiericcio. Vecchi amici, anziani e uomini validi del posto. Tutti dicevano della scomparsa di Carlo, ma nessuno aveva molto da aggiungere. Della ninfa nessuno aveva saputo, perché era una venuta dal Nord e si sapeva di lei che aveva avuto sfortuna. Era tornata per ricongiungersi con la madre, ma la madre si era risposata e il nuovo marito le aveva posto un aut aut. Così la ragazza si era dovuta accontentare di battere le vie fuori paese e abbordare per strada qualche sconosciuto.

L'uomo ombra della vita intima della ragazza nulla sapeva, dei litigi con la madre e il patrigno, e del bisogno dei buchi. Dietro il giornale guardava un mondo che si accartocciava, inumidiva e sfarinava in disparte. Pensò solo, oggi fa troppo freddo per uscire, e domani farà lo stesso, gettando un occhio al cappello e alla giacca sui pioli. Allora aprì bene le finestre una ad una, finché ne ebbe la forza, finché le mani e le braccia e la faccia ancora lo sostenevano davanti al mondo. Poi rimasero le parole degli idioletti su una poltrona muffita.

I bambini si azzuffavano nella polvere spingando calci al pallone di cuoio, ridendo e gioendo fumanti nel gelido sole.

Il serpente d'oro spingava fra i mattoni.

Roma, 1997

[riferimento editoriale:
D'Ugo, Nicola, "Goodbye Little World", in Moschini, Francesco, Gianfranco Neri e Renato Partenope (a cura di), Transizioni. Sei comuni di Calabria tra mito, quotidianità e progetto. Cittanova, Melicucco, Polistena, Rosarno, S. Ferdinando, S. Giorgio Morgeto, Edizioni Kappa, Roma 1997.]

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